10/05/2024

La scomparsa nei giorni scorsi di un grande dirigente sportivo come Pino Zoppini (prima al Nuoto, poi per oltre un decennio a capo del CONI Regionale Lombardo e soprattutto grande architetto Olimpico con il figlio Alessandro) mi ha immediatamente richiamato alla memoria tutta una serie di dirigenti sportivi che, come Pino Zoppini, hanno segnato la storia della dirigenza del CONI sul territorio.

Mi riferisco a persone come Giordano Goggioli a Firenze, Pier Giorgio Bertotto a Venezia, Pino Orlandi a Palermo, Ignazio Marcoccio a Catania, Andrea Arrica a Cagliari, Edo Benedetti a Trento,  Emilio Felluga nel Friuli, Lorenzo Podestà a Genova, Giovanni Romagna a Roma, Nando Rossi a Perugia, William Reverberi a Reggio Emilia, solo per ricordarne alcuni, e scusandomi con tutti gli altri, che comunque li rappresentano. 

Con loro da metà degli anni sessanta in poi hanno collaborato alla realizzazione di momenti indimenticabili dello sport Italiano dirigenti come Mario Pescante (prima che venisse scelto da Onesti come Segretario Generale nel 1973), Paolo Borghi, Vincenzo Romano e Gianfranco Carabelli.

Immediatamente mi è scattata la domanda: ma perché non esistono più dirigenti di quello spessore? E’ lo sport che non produce più dirigenti di questo livello? E la stessa cosa avviene all’interno delle Federazioni Nazionali?  O è il sistema la causa di tutto ciò? La mia personale analisi mi dice che è “il sistema” che ha smesso di produrre dirigenti come quelli citati. E spiego perché.

All’inizio degli anni duemila per imitare (ed ingraziarsi) la politica che aveva deciso di eliminare le Provincie (operazione poi fatta solo a metà) il CONI di allora decise di fare altrettanto e di azzerare la propria struttura periferica a livello provinciale. Non più elezioni ai vari livelli territoriali, tagli di fondi, chiusura di uffici e di importanza ad una struttura che era stata fondamentale per la salvaguardia dell’autonomia dello sport Italiano. Ricordo ancora le battute nei corridoi importanti del Palazzo H “ma servono solo per distribuire medagliette e coppette”. Tutto questo non capendo che lo sport Italiano con il milione di dirigenti volontari aveva assolutamente bisogno di distribuire “medagliette e coppette” essenziali per tenere in piedi questo “sistema”. Senza citare quanto la periferia era stata importante in molte azioni “politiche” di supporto ai programmi del CONI e delle Federazioni.

Questo passo ha portato poi altri momenti che hanno aiutato questo decadimento dirigenziale. Quando, causa le ristrettezze economiche, si sono messe in atto tutta una serie di misure che hanno demotivato la periferia e svuotato la loro importanza, anche politica, sul territorio. Vendita di sedi storiche e riduzione di personale ed altro. Questo momento ha anche influenzato la gestione dirigenziale delle Federazioni con Consiglio Federali ridotti nel numero, con periferie meno importanti e con maggiori nomine più che elezioni dirette. Tutte queste cose facevano parte di quello che ho chiamato “sistema”. 

A tutto ciò si è aggiunto negli ultimi quindici anni un fenomeno sia al CONI che alle Federazioni altrettanto grave. La scomparsa di Commissioni – non quelle di carattere giuridico o comunque di garanzia di trasparenza – ma quelle relative a tutta una serie di materie pilastri dell’attività sportiva (sport nella scuola, impianti sportivi, promozione giovanile, e molto altro).     

Ricordo che sia il CONI che le Federazioni avevano moltissime di queste Commissioni (nei miei 40 anni fra FIDAL e CONI, ne ho frequentate molte). Forse le stesse non hanno prodotto granchè, forse una sola idea all’anno, ma avevano un grande merito: quello di formare e motivare i dirigenti volontari. Quelli che poi avrebbero dovuto essere i futuri dirigenti nazionali. Una palestra ineguagliabile e irripetibile di formazione. Purtroppo a sostituzione di questo sistema, che è l’unico necessario per formare un dirigente, non è servito l’inserimento di un altro elemento: quello di utilizzare ex campioni in ruoli apicali , senza che gli stessi avessero fatto il necessario percorso dirigenziale, la così detta gavetta. Credo che loro, come fatto nella loro carriera di atleti, dovrebbero fare il giusto apprendistato dirigenziale prima di assurgere ai vertici. Non sono arrivati alla finale Olimpica direttamente senza passare attraverso i necessari diversi momenti agonistici, delusioni comprese.

Sarebbe impietoso da parte mia citare nomi ma solo per fare un esempio:  non si può pretendere che Federica Pellegrini diventi un valido dirigente, solo perché eletta nella Commissione Atleti del CIO, senza che la stessa abbia ricevuto delle elementari nozioni di management o che abbia gestito una riunione, costruito un ordine del giorno, gestito dei collaboratori etc.  il fatto che oggi si criticano, pur meritevoli Presidenti, di non aver sostituiti è anche legato al fatto che non esiste un “sistema” che aiuti la nascita di futuri dirigenti, ovviamente anche di ex-campioni, ad essere pronti per quella carica. Per non parlare della totale assenza di donne nei ranghi federali nazionali.

In campo internazionale un buon esempio lo da il CIO. Basta sfogliare il suo Directory per contare una ventina di Commissioni, permanenti o temporanee, che permettono al CIO di gestire le diverse materie e soprattutto a creare futuri dirigenti. Purtroppo questo non è il caso di molte Federazioni Internazionali, in primis World Athletics. Una volta la IAAF aveva tutta una serie di commissioni, tutte elettive, ora sono tutte di nomina. A fronte di tutta una serie di cervellotiche decisioni di questi ultimi mesi: dalla liquidazione della marcia, alla non necessaria modifica del temine “indoor” con “short track”, all’idea di eliminare l’asse di battuta del lungo (e quindi del triplo) con il concetto del salto libero, all’aver unificato risultati indoor e all’aperto, per finire all’ultima criticatissima trovata di dare dei premi ai vincitori di medaglie olimpiche. Ma dove va la WA?  Tutte queste decisioni sarebbero state prese se esistesse anche lì un sistema e non pochi illuminati? 

Sono stato eletto due volte, nel 1976 e nel 1961, nella Commissione Tecnica della IAAF. Ricordo che nei primi due anni non riuscivo a prendere la parola perché, confermando quello era stato la sua cifra da atleta, arroganza e presunzione, che gli aveva permesso di vincere l’oro a Parigi nel 1924, Harold Abrahams membro eletto anche lui della Commissione non permetteva a nessuno di dire la propria opinione.  Anche da quei due anni di silenzio ho imparato tanto. Poi lui nel 1978 è scomparso e quelli che sono rimasti – me compreso - grazie a quei silenzi sono cresciuti.

Prima di scrivere queste poche righe mi sono confrontato con persone più sagge di me, ed una di loro mi ha commentato: “Il problema più grave dello sport è proprio la classe dirigenziale, se ci pensi è analogo nella politica e ahimè anche nel giornalismo. Poca scuola, tanta fretta, scarsa riflessione.”

Tanti auguri allo sport Italiano, ne ha proprio bisogno.


Luciano Barra

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